La stratificazione come concetto di
assorbimento di ogni attimo del nostro trascorso storico è pratica che pervade il
nostro vivere quotidiano. Ognuno di noi fin dai primi giorni dopo la nascita e per
tutta la durata della propria vita, crea il proprio sé, sedimentando all’interno del
proprio animo percezioni, odori e sensazioni. L’ambiente circostante ci fornisce
possibilità infinite che unite alle nostre attitudini e le più intime pulsioni,
definiscono il nostro essere e il nostro relazionarsi con ciò che c’è al di fuori di
noi, creando un continuum stato di metamorfosi derivato dalla interazioni tra
strati: ciò che apprendo adesso va a modificare tutto il bagaglio creatosi in
precedenza. La disuguaglianza di pesi all’interno del nostro essere, deriva da ciò
che noi proviamo o meglio da ciò che noi sentiamo, scatenando il movente che ci
porta a compiere un’azione nell’ambiente esterno, fino a compensare costantemente,
un equilibrio instabile.
Questo continuo scambio di relazioni tra
bisogno-azione-cambiamento sono alla base della poetica che cola lentamente
all’interno delle opere di Giacomo Vannucchi. Solchi di memoria scavati nella
materia, divengono approdi per il colore che si insinua nelle trame di essa.
Sgocciolature dalla forma astratta vanno a comporre visioni costruttiviste nate da
ciò che l’artista raccoglie tra l’esterno e l’interno. La forza del caso viene
mediata dal suo soggettivo punto di vista, insito nelle corde più profonde
dell’animo. L’estetica, la piacevolezza, il carnale lasciano spazio, osando un
parallelismo con i concetti delle scienze informatiche, ad una comunicazione a
livelli più bassi, intesi come più atavici e vicini alla percezione assoluta. Questa
sfocia in mari di visioni inquiete sino a concludere il loro flusso di informazioni,
ad un memento-mori in cui il tutto si annienta.
Anche il concetto china la
testa davanti al reticolato di informazioni/sensazioni che l’autore declina nella
propria e personale prassi artistica. Nelle sculture delle serie intitolata
“Oltre” vengono ribaltati tutti i canoni fisici, scientifici e logico-matematici: le
due masse, una posta sopra l’altra, restano in equilibrio e connesse, tramite una
fitta trama di finissimi fili di colore, il reticolato mentale che forma i nostri
processi conoscitivi, senza crollare greve l’una su l’altra, come la forza di gravità
newtoniana prevederebbe. In questo momento ben definito l’artista non si pone lo
scrupolo di andare al di fuori di sé cercando di teorizzare enunciati relativistici,
ma al contrario, elimina del tutto l’oggettività per fare spazio al suo intimo
sentire. La mano non è mossa dall’idea come in qualche opera dal richiamo
neoplatonico ma legata ad un’introspezione più nascosta della propria essenza: il
proprio Kernel, rubando ancora una volta un concetto espresso dalle scienze
informatiche.
La poetica delle creazioni di Vannucchi non è spinta soltanto
da una elaborazione mentale basata su l’accumulo di percezioni, questa nasce anche
dalla rappresentazione del suo personale e soggettivo percorso conoscitivo.
In
opere come “Ortogonale prima”o “In-permanenze” Il colore dà forma a reticoli
all’interno dei quali, l’inquieto equilibrio tra pulizia formale e ferocia emotiva
si fagocitano l’uno con l’altro come in un Giano Bifronte che ad ogni istante
tramuta la percezione di ciò che è a ciò che era e viceversa, iterandosi infinite
volte. Passato, presente e futuro si mescolano e si incontrano in visioni
ortogonali, dove rette parallele e perpendicolari, non lasciano traccia del loro
passaggio esterno ma solcano i sottosuoli dell’emotività.
La continua ricerca
in cui l’autore è coinvolto costantemente risulta simbiotica al suo trascorrere. La
metamorfosi dei materiali utilizzati accelerano e decelerano alla stessa velocità
con la quale l’artista si spinge, nell’analisi della sua soggettività. In opere come
“Iterazione - finita”, elementi di materia si staccano dal nucleo iniziale per
approdare del tutto trasformati ad altre realtà. Esse non possiedono pretesa di
amalgamarsi o ribellarsi al loro nuovo stato ma tendono ad evolversi in qualcosa di
“di più“ di ciò che erano in precedenza, mettendo in moto, ancora una volta,
un’iterazione matematica, questa volta non infinita ma calcolata, sino a enunciare
paradossi percettivi, all’interno dei quali l’entropia resta sempre la stessa,
nonostante il cambiamento di stato sia avvenuto. La composizione declina ancora una
volta la propria volontà di rendere unica e soggettiva la propria genesi, dove
esistono variegate partenze che non concludono ad un solo arrivo, anzi, ciò che
lascia l’approdo sicuro della sua quotidiana confort-zone, prosegue in un tragitto
che non si pone né fine né meta ma che si districa in labirinti di memorie, dove si
percepiscono echi e richiami a lande esistenziali, senza timore di perdersi o
affrontare i pericoli e i vicoli ciechi che si celano in tale viaggio.